domenica 12 ottobre 2014

Che cosa fare con la prostituzione?

Rosa Cobo Bedia*


Che cosa fare con la prostituzione?






Il dibattito politico sulla prostituzione appare intermittente nei Media, di solito legati alle notizie che suggeriscono l'inevitabilità della sua legalizzazione. L’ultima in ordine di tempo è l'incorporazione di quest’attività, nel PIL. L'argomento che sembra avere più peso in questa discussione è la spiegazione che la legittimità della prostituzione debba essere cercata nel libero consenso delle donne prostituite. Mi concentrerò, quindi, esclusivamente su quest’aspetto del dibattito.
Tuttavia, occorre porre due questioni, prima di approcciare il dibattito: la prima è che dobbiamo distinguere nella prostituzione, il gruppo concreto delle donne prostituite in modo da poter contestare criticamente questa istituzione e, al contempo, agire politiche pubbliche per le donne prostituite. Il secondo elemento è la naturalizzazione della prostituzione, nonostante tutto ciò che questa implica: il carattere non politico del commercio sessuale.

La prostituzione è una complessa realtà sociale, sia per il crescente numero di attori e processi coinvolti intorno a questa istituzione patriarcale sia per i significati ideologici che derivano ​​dalla sua esistenza. Infatti, la prostituzione è oggi un'azienda globale legata all’economia criminale, e nella quale intervengono molti attori, che beneficiano di tale attività. Tanto che nel 2010, secondo le statistiche, la prostituzione ha generato 0,35% del PIL. Non si può negare che l’affare prostituzione si è moltiplicato nel contesto delle politiche economiche neoliberiste. Probabilmente, l’interesse collettore degli Stati patriarcali è all'origine di questa proposta. Tuttavia, i principali attori in primo luogo, sono le donne che esercitano la prostituzione e gli uomini che utilizzano i servizi di queste donne. Nell'immaginario collettivo la prostituzione è associata con l'immagine della puttana. Eppure, non c'è donna prostituita senza un uomo prostitutore. Perché il prostitutore è invisibile nell'immaginario della prostituzione? Dobbiamo riflettere sulle ragioni per cui la figura del richiedente è stata zittita, come se si trattasse di un elemento del tutto secondario in quest’opera da teatro, perché questo fatto è un chiaro indicatore del permissivismo sociale che esiste verso questi uomini. Per questo è necessario re-significare l’immaginario della prostituzione e mettere i prostitutori al loro giusto posto, vale a dire, come beneficiari e responsabili di questa pratica sociale. Dobbiamo anche far notare che, la prostituzione non è un’istituzione innocua, ma come tutte le altre, non può essere separata dalle relazioni di potere che strutturano una società.
Inoltre, questa realtà sociale non può essere intesa senza prendere in considerazione la notevole disparità economica tra la popolazione prostituita e la popolazione richiedente poiché questa disuguaglianza è essenziale per calibrare il grado di accordo che esiste in questi rapporti. Oltre il 90% delle donne prostituite, sono migranti e il traffico illegale di donne per l'industria del sesso è in aumento come una fonte di reddito per i maschi. Tuttavia, le donne occupano la quasi totalità del settore, fino al punto di diventare un gruppo maggioritario nella migrazione orientata alla ricerca di lavoro. Saskia Sassen sottolinea che la nuova economia capitalistica con le sue politiche neoliberiste favorisce l'emergere di una nuova classe di servitù. Donne emigranti, comprese le donne che si prostituiscono, formano il duro nucleo di queste nuove schiavitù. In effetti, le donne prostituite appartengono ai settori sociali più poveri e con estreme necessità economiche che cercano di migliorare la loro situazione mediante l'ottenimento di denaro facile che la prostituzione può fornire. Inoltre, per alcune donne migranti irregolari la prostituzione è vista come una delle poche uscite economiche disponibili.

La questione, quindi, ruota attorno al grado di consenso delle donne prostituite nel commercio del sesso. Qui si può già sottolineare che la libertà e il consenso delle donne che arrivano alla prostituzione sono ridotti, perché sono limitati dalla povertà, dalla mancanza di risorse culturali, dalla mancanza di autonomia e nella maggior parte dei casi dall’abuso sessuale nell’infanzia. E se ciò non bastasse, queste realtà sociali si formano all'interno delle società patriarcali, dove gli uomini hanno una posizione di dominio sulle donne.
Un contratto firmato da entrambe le parti in cui uno di esse è dominata dalle necessità, non è un contratto legittimo. Non può darsi libertà contrattuale assoluta nei sistemi sociali fondati sul dominio, perché la necessità e lo svantaggio sociale, inficiano il consenso. Pertanto, si deve rilevare che l’illimitata libertà contrattuale è parte del nucleo ideologico, più duro del liberalismo e la messa in discussione di questa libertà assoluta è uno dei tratti distintivi del pensiero critico. Le analisi che tentano di giustificare la prostituzione, come un contratto legittimo si basano su argomentazioni tipiche del neoliberismo, per la cui ideologia i contratti non dovrebbero avere limiti. Coloro che difendono la legittimità del contratto basandosi sulla volontà dell'individuo, dimenticano che libertà e volontà non sempre coincidono. Legittimare la prostituzione con quest’argomento è sottrarsi al pensiero critico.

Se si considera la prostituzione, una forma inaccettabile di vita, risultato del sistema di egemonia maschile, che viola i diritti umani delle donne per trasformare il loro corpo in una merce e in un oggetto per il piacere sessuale di altri, allora, si finirà in direzione dell’impossibilità della sua legalizzazione. In altre parole, legalizzare la prostituzione è inviare alla società il messaggio che lo sfruttamento sessuale delle donne è eticamente accettabile. E questo contribuisce a installare nell'immaginario collettivo l'idea che gli uomini hanno un diritto naturale di accedere sessualmente al corpo delle donne.


* Docente di Sociologia di Genere nella Universidad de A Coruña

eldiario.es



(traduzione di Lia Di Peri)