domenica 13 luglio 2014

Federici: Femminismo tra fuochi e fornelli.

Silvia Federici (1942, Parma) parla e sorride con calma. Ha le mani rugose e la lingua tagliente. E’ l’autrice di Calibano e la strega, corpo e accumulazione primitiva, il libro che incorpora nella caccia alle streghe, l’analisi marxista della transizione dalla società feudale al sistema capitalista.  Joana García Grenzner l’ha intervistata quando, a Barcellona, ha presentato questo libro. Oggi, Federici è la femminista più nota.



Com’è stata la visita a Zugarramurdi?


 Visitare la zona mi ha molto emozionata. E’ l’unico posto dei Paesi Baschi, secondo le mie ricerche, in cui gli uomini erano organizzati contro le streghe. Nel 1609 hanno iniziato a imprigionare, torturare e uccidere molte donne. Le cacciavano con gli strumenti che usavano i marinai per la caccia alle balene. Mi ha molto turbato vedere come stanno facendo affari vendendo un’immagine delle streghe che non corrisponde alla realtà. Stanno diffondendo una falsa immagine che degrada e le ridicolizza: donne grasse, con un naso grosso e vecchio. Mantengono l’immagine che crearono di esse i loro cacciatori.

Che cosa proponi?

Mi piacerebbe vedere una mobilitazione di donne nella quale si dicesse: Basta guadagnare denaro sulla nostra pelle”. Nei posti della zona avrebbero dovuto esserci dei cartelli che spiegassero cosa fosse realmente accaduto. E’ tempo di rivelare la storia di sangue, tortura, violenza e persecuzione.

 Il femminismo è smobilitato?


Il femminismo è oggi un fenomeno molto complesso. Da un lato c’è un nuovo movimento che sta sorgendo dalle più giovani, perché continuano ad avere la vita più difficile che degli uomini. Tutte le aspettative, una carriera, lavoro fuori di casa, divisione dei compiti, non si sono realizzate o si sono realizzate in modo limitato. Dall’altro lato, c’è un gran decadimento del femminismo, che è cominciato negli anni ’70 con le Nazioni Unite. L’ONU ha invaso il territorio femminista se n’è appropriato distorcendolo: ha ridefinito la sua agenda e ha distrutto tutto il suo potenziale sovversivo mantenendo solo una prospettiva neo-liberale.

Che cosa sarebbe questa prospettiva?

Quella che afferma che, la liberazione delle donne, passa per la sua carriera professionale e le pari opportunità. Sono rivendicazioni capitaliste e neo- liberiste. L’ONU ha creato un femminismo globale in cui le donne fanno parte di conferenze e Ong internazionali. Attaccano il lavoro non pagato, svalutando la riproduzione ed evitando di criticare come il capitalismo ha usato il corpo delle donne. Hanno creato un femminismo molto conciliante con l’agenda neo-liberista.  Dobbiamo riappropriarci delle politiche femministe.


 Il movimento femminista è morto?

Credo che oggi non esista un movimento femminista come movimento sociale di massa. Esiste un femminismo culturale, ma non un femminismo come forza politica e sociale. C’è una politica femminista che si trova in ogni movimento sociale, perché tutti hanno dovuto parlare con il femminismo. Non siamo nella stessa situazione di trent’anni fa. C’è molta più parità e noi donne abbiamo più autonomia rispetto agli uomini, però non rispetto al capitale. Non c’è una forza capace di contrastare il capitalismo. Alcune giovani donne hanno ripreso forme di comportamento che noi avevamo rifiutato e credo che ciò dimostri che stiamo andando verso una regressione.

Nel tuo lavoro, tu hai parlato del femminismo come una “rivoluzione incompiuta”. Il femminismo ha creato coscienza ma è fallito in quanto all’incidenza?

Sì. Il movimento femminista non è stato in grado di contrastare il processo di globalizzazione, che è stato riempito di continui attacchi al lavoro riproduttivo a tutti i livelli. Non è stato capace di opporsi ai tagli sociali, non è stato in grado di cambiare l’organizzazione del lavoro. Oggi, le ore lavorative sono di più che nel passato. Dieci ore! La conciliazione familiare è impossibile. Assistiamo a una grande crisi sul terreno della cura e le donne non hanno più il tempo per riposare, per leggere, né per partecipare a una riunione politica o a una manifestazione. Non hanno tempo per se stesse. Viviamo in continua ansia per la sopravvivenza. Le donne negli Stati Uniti consumano una gran quantità di antidepressivi. Sono vite piene di ansia, preoccupazioni e lavoro, lavoro, lavoro.

In che cosa ha sbagliato il femminismo?

Negli anni '70, quando abbiamo dovuto prendere decisioni strategiche, sia negli Stati Uniti sia in Europa, il movimento femminista abbandonò completamente il terreno della riproduzione e s’impegnò, quasi esclusivamente, sul lavoro fuori di casa L'obiettivo era di conquistare l'uguaglianza attraverso il terreno lavorativo. Gli uomini però erano oppressi in questo settore e raggiungere l’uguaglianza in fastidi e oppressioni non fu una strategia. Entrarono nel mondo lavorativo che era stato dominato dagli uomini, ma non videro che era il momento di attaccare il lavoro salariato. C’è stata una mancata visione del contesto sociale ed economico in cui si stava combattendo. Abbiamo combattuto con armi che non funzionavano.
A quel tempo, io lavoravo in un’organizzazione chiamata “'Campagna Internazionale per salari per i lavori domestici”. Pensavamo che senza la lotta per il lavoro riproduttivo non avremmo ottenuto nulla. Per cambiare la situazione delle donne, c’è da cambiare tre tipi di relazioni: donne- Stato, donne-uomini e donne – capitale. Il lavoro riproduttivo è qui una priorità. E’ il problema centrale, perché i ruoli che il capitalismo ha disegnato per le donne iniziano da qui: il capitalismo ha creato la divisione internazionale sessuale del lavoro. Dobbiamo partire da qui. Il movimento femminista non ha preso questa strada ed è una delle ragioni per le quali non ha potuto provocare grandi cambiamenti.

Nasce da qui la tua idea di “Rivoluzione zero”?

Sì, la Rivoluzione zero è quella che ancora non si è fatta, perché non si è preso in considerazione il problema della perdita di valore del lavoro riproduttivo.


 Stiamo vivendo una guerra contro le donne?
Sì, sì, sì, sì. Il capitalismo e la globalizzazione attaccano i mezzi di riproduzione: espropriazione delle terre, tagli nello Stato sociale, precarizzazione del lavoro e della vita. E’ una strategia classica del capitalismo, che Marx chiamava “ accumulazione originaria”: se vuoi aumentare i tuoi benefici e imporre una certa disciplina devi separare gli uomini e le donne dai mezzi di riproduzione. Se non hanno come riprodursi, dipendono da te. Accettano qualsiasi condizione. E chi sono i primi soggetti sociali impegnati nella riproduzione? Le donne.
Non puoi attaccare la riproduzione della forza lavoro senza attaccare le donne. La violenza contro le donne è parte del processo. In America Latina e in Africa, per esempio, dove le donne erano impegnate nell’ agricoltura di sussistenza, che stanno facendo le istituzioni internazionali? Strappare quella terra, privatizzarla.

Non credi sia pericoloso concentrare tutta la critica sul capitalismo? Le donne non sono libere dalla violenza negli altri sistemi.

Non ci sono altri sistemi, a parte il capitalismo, né a Cuba, né in Venezuela. Scherziamo? L’idea che il capitalismo sia solamente un sistema economico è un pregiudizio capitalista. E’ un sistema culturale e sociale. Non c’è economia, senza relazioni sociali, culturali o politiche. Oggi, tutti e tutte viviamo in un sistema capitalista. Ci sono paesi che distribuiscono la ricchezza meglio di altri, però non esistono paesi fuori dall’economia di mercato.
Non serve dire che vogliamo una società che non sia capitalista, perché potremmo costruire un sistema ancora peggio. Ciò che io voglio è creare una società non gerarchizzata, che non si basi sullo sfruttamento del lavoro di altre persone.

 Però, il patriarcato non è un sistema autonomo?

Personalmente, non lo credo. Il patriarcato da sempre ha fatto parte dei sistemi che si appropriavano del lavoro umano. Il corpo delle donne è una fonte di ricchezza, che ha nei figli e nelle figlie la manodopera. Siamo nella logica dello sfruttamento lavorativo. Il patriarcato non comincia con gli uomini che dominano le donne, ma con un sistema di lavoro che opprime gli uomini e che si basa nel controllo della sua principale fonte di ricchezza. Vi rendete  conto della ricchezza che presuppone il corpo delle donne? Immaginate se le donne decidessero di non avere più figli e figlie! Immaginate cosa succederebbe?

Il lesbismo potrebbe essere una soluzione?
Le lesbiche, oggi, hanno figli.

Non lascerai fuori dalle tue analisi le lesbiche?

Ho scritto molto su capitalismo e sessualità, sulla disciplina della sessualità che il capitalismo ha imposto. Negli anni ’70 parlavamo di una grande contraddizione nel capitalismo. La divisione del lavoro era allora, una divisione omosessuale: gli uomini lavoravano con gli uomini e le donne con le donne. L’eterosessualità esisteva soltanto nel matrimonio. Era difficile poi comprendersi dentro il matrimonio. La famiglia non è mai stato un luogo di serenità.
D’altra parte negli anni ’60 e ’70 io avevo chiaro che il lesbismo aveva un valore di rottura per molte ragioni. Il capitalismo dà il comando agli uomini, li trasforma in emissari del sistema in casa e in una relazione lesbica ciò non accade. Inoltre, il lesbismo presuppone una grande valorizzazione delle donne, in uno spazio di tranquillità, di liberazione da tantissime pressioni. Adesso, però, ho capito che ciò non basta, perché in una società eterosessuale, le relazioni lesbiche riproducono la logica etero patriarcale.
Credo, anche se non ne sono sicura, che questa capacità di rottura che il lesbismo una volta possedeva oggi, sia meno forte. Proprio il capitalismo ha ristrutturato la sua idea di famiglia per integrare le coppie omosessuali. Da qui, l’approvazione del matrimonio gay in tanti luoghi.
Ovviamente, il capitalismo ha bisogno di organizzare le case intorno al lavoro riproduttivo.

In questo contesto di crisi, nel quale si sono imposte come moda le torte e tortine, non si sta celebrando il lavoro riproduttivo?

C’è un gran dibattito, ora negli Stati Uniti, su questo. E’ un tipo di valorizzazione del lavoro a livello psicologico, però non c’è nessuna rottura a livello politico. E’ tutto il contrario. E’ una valvola di sicurezza. Non è un cambiamento, né rompe con il sistema. Significa soltanto che se hai tempo e soldi, puoi farti le tue torte in casa [ride].

Ma non è pericoloso che passi questo messaggio?

Il nostro discorso di valorizzazione del lavoro riproduttivo non ha nulla a che fare con le torte in casa. Dobbiamo lottare contro la deforestazione e il disboscamento; lottare perché non siano contaminati i fiumi e i mari; mettere la ricchezza prodotta a servizio delle donne. Si tratta di cambiare la logica del sistema. Produrre per la vita, non per il mercato.  Nessun bignè.

E se la torta la fa un’altra?


 Il movimento femminista ha fatto un grosso errore, non lottando per il salario domestico. Che succede adesso?  Che questa carica di lavoro lo assume un’altra donna. Molte, migranti. La ristrutturazione del lavoro domestico si fonda su una grande ingiustizia: donne che lasciano le loro famiglie e vanno lontane dalle loro case a curare le famiglie di altre donne. E’ vero, anche che ci sono donne che possono farsi carico delle loro famiglie senza aiuto. Odio essere moralista in questo senso, perché a volte non c’è altra scelta, però dobbiamo avere una strategia politica, che ci porti a un cambiamento di paradigma in cui uomini e donne decidano come riprodursi senza logica di potere.


traduzione di Lia Di Peri.