venerdì 31 gennaio 2014

L'industria della vagina. L'economia politica della commercializzazione del sesso.

"L'industri della vagina" di " di Sheila Jeffreys, ha un approccio dalla prospettiva di genere in tutti i settori del sesso in cui la donna è sfruttata, tra questi, la pornografia, principale promotrice e creatrice della domanda di prostituzione e la tratta, rompendo con l’immaginario delle stelle porno milionarie e felici.


Prologo

Nei primi anni novanta, la scrittrice inglese, laureata in scienze politiche, Sheila Jeffreys, emigrò in Australia, dove ebbe modo di costatare l'enorme crescita del commercio globale del sesso. Decise allora di iniziare un’indagine in grado di disarmare con validi e solidi argomenti, ciò che lei intendeva per “ipocrisia liberale”. L’industria della vagina esplora come il commercio del sesso, l’affare in piccola scala, furtivo e disprezzato si era trasformato in una grande industria, produttiva e legittimata come tale.

Trascriviamo di seguito la sua provocatoria introduzione convinte, che dobbiamo ripensare a questioni così controverse inquadrando le riflessioni nella fase attuale dell’etero-capitalismo globalizzato. Anticipiamo che l'autrice non affronta nel libro aspetti collegati alla prostituzione, alla quale sono sottoposti il gruppo di travestiti, ma si capisce che il libro ci aiuta a costruire nuovi registri di sensibilità per modellare le nostre percezioni, contribuendo a innovative problematiche per le teorie e pratiche femministe.
Introduzione: Dal prossenitismo al mercato redditizio.

Alla fine del XX secolo la prostituzione è diventata una fiorente industria del mercato globale, immensamente redditizia. Kate Millet scrisse nel 1970 che la prostituzione era “paradigmatica della base stessa della condizione femminile" che ha ridotto le donne a “fica”.

Prostituzione: " pratica culturale dannosa . " La più importante è la nuova ideologia e pratica economica di questi tempi neoliberisti, in cui la tolleranza della “libertà sessuale” converge con l'ideologia del libero mercato per ricostruire la prostituzione come "lavoro" legittimo, che funge da base per l’industria del sesso, sia a livello nazionale sia internazionale.
La prostituzione si è industrializzata e globalizzata alla fine del XX secolo e l’inizio del XXI: questo crescente settore del mercato deve essere inteso come la commercializzazione della subordinazione delle donne. Fino agli anni '70 vi era consenso tra i governi nazionali e il diritto internazionale in materia di prostituzione, la quale non doveva essere legalizzata né organizzata dallo Stato. La prostituzione era identificata nella Convenzione del 1949 contro la Tratta di persone, come incompatibile con la dignità umana e si segnalava come illegale reggente dei bordelli. Era lo spirito dell’epoca.
Questo carattere è cambiato con il neo-liberismo degli anni ’80, dando via a un processo attraverso il quale i prosseneti si sono trasformati in rispettabili uomini d’affari che potevano far parte del Rotary Club. L’attività dei bordelli fu legalizzata e diventò un settore di mercato in paesi come l'Australia, Olanda, Germania, Nuova Zelanda: lo spogliarello divenne moneta corrente nel settore "tempo libero" o " intrattenimento" e la pornografia tornò sufficientemente rispettabile per le aziende come la General Motors che incluse canali porno tra le loro imprese.
 Lo sfruttamento sessuale è una pratica con cui una o più persone riceve gratificazione sessuale o guadagno finanziario o miglioramenti attraverso l'abuso della sessualità di una persona e attraverso la revoca dei loro diritti umani alla dignità, uguaglianza, autonomia e benessere fisico e mentale. Comprende pratiche come lo stupro, anche se l’interesse economico è il mezzo principale di potere utilizzato per ottenere accesso sessuale alle giovani e donne. La forza bruta, il sequestro e l’inganno possono anche essere praticati.

L’industrializzazione si riferisce ai modi in cui le forme tradizionali di organizzazione della prostituzione sono state modificate dalle forze sociali ed economiche, con l'obiettivo di acquisire una scala più ampia, la concentrazione, la standardizzazione e l'integrazione nella sfera corporativa. La prostituzione finisce di essere una forma di abuso alle donne, illegale, esercitata su piccola scala, soprattutto a livello locale e socialmente disprezzata, per diventare un settore redditizio e legale, tollerata nei paesi in cui è illegale.
In Daulatdia, una città portuale del Bangladesh creata venti anni fa, 1.600 donne sono sessualmente utilizzate da 3.000 uomini il giorno.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che l’industria del sesso è tra il 2 e il 14%nelle Filippine, Malesia, Thailandia e Indonesia. Il governo coreano ha stimato nel 2002 che un milione di donne erano coinvolte nella prostituzione in un dato momento in quel paese. Si calcola che l’industria rappresenta il 4,4 % del prodotto interno lordo, più della silvicoltura, pesca e agricoltura combinata (4,1 %).
L’industria del sesso in Olanda, che ha legalizzato la prostituzione nel 2001, rappresentava in quello stesso anno il 5% del PIL. Dall'altra parte dei Paesi Bassi, dove si è legalizzata i guadagni, superano un trilione di dollari.
In Cina la prostituzione era stata proibita dal maoismo. Dal 1978 l’industria della prostituzione ha avuto un boom alla pari con l'economia di mercato. Si calcola tra 200.00/300.00 le donne prostituite a Pechino e circa 20 milioni in tutta la Cina. Essa costituisce l’8% dell'economia cinese ed è valutata intorno a 700 miliardi di dollari.
La globalizzazione dell’industria del sesso sostiene la prostituzione nell'economia internazionale in tanti modi. La tratta delle donne è diventata qualcosa di prezioso per le economie nazionali, per esempio, a causa del denaro che queste donne mandano nei loro paesi di origine. Governi come quello filippino incoraggia il traffico per autorizzare queste donne prima che lascino il paese. Nel 2004 le filippine, che si trovavano in Giappone, hanno inviato 258 milioni dollari nel loro paese. Ottantamila filippine entrarono in Giappone nel 2004 con un visto per sei mesi destinate al settore dello spettacolo: il 90 % lavorava nell'industria del sesso.
L’industria del sesso non produce profitti solo per i proprietari di bordelli, degli strip club o per le innovative e rispettabili imprese della pornografia. Molti attori se ne beneficiano finanziariamente, il che aiuta a rafforzare la prostituzione all'interno delle economie nazionali. Alberghi e compagnie aeree beneficiano del turismo sessuale e gli affari del turismo sessuale. Ai tassisti che spostano i clienti, l’industria del sesso dà una mazzetta. Le aziende che pubblicizzano bevande. La sicurezza personale e gli amministratori dei club, costumisti e truccatori delle spogliarelliste. L’aumento del 12 % dei profitti di Chivas Regal società che vende whisky, prodotto nel 2004, è stato attribuito alla sua associazione con i bordelli in Thailandia. Tutti i proventi derivanti dalla vendita di corpi femminili sul mercato, anche se le donne hanno ricevuto solo una piccola percentuale.
La globalizzazione dell'industria del sesso significa che i corpi non sono più confinati nei limiti della nazione. Il traffico, il turismo sessuale e il business delle mogli comprate per posta hanno garantito che la grave diseguaglianza delle donne può essere trasferita di là dai confini nazionali, in modo che le donne dei paesi poveri possano essere comprate per lo scopo sessuale di uomini dei paesi ricchi.
Il XX secolo ha visto il fatto che i paesi ricchi prostituiscono le donne dei paesi poveri come una nuova forma di colonialismo sessuale. Così, gli uomini possono compensare la perdita delle loro posizioni sociali nei paesi in cui le donne hanno aperto determinati canali verso l’uguaglianza ottenendo subordinazione femminile come qualcosa che può essere consumata in paesi poveri o importata. La catena di fornitura è stata interiorizzata attraverso la tratta delle donne su larga scala, dai paesi poveri provenienti dai diversi continenti, verso destinazioni che comprendono i vicini paesi ricchi, per esempio, dalla Corea del Nord, alla Cina destinazioni per il turismo sessuale come la Germania e l’Olanda.
Le tecnologie che permettono di fornire un corpo femminile a un acquirente sono cambiate e si sono sviluppate. Tuttavia, la vagina e altri parti del corpo femminile che compongono la materia prima della prostituzione rimangono come “ antica tecnologia”, insensibile al cambiamento. La vagina diventa il centro di una struttura organizzata su scala industriale, mentre ancora continua a essere legata a una serie di problemi inevitabilmente associati a questo uso particolare all'interno del corpo femminile: dolore, sanguinamento, gravidanza, malattie sessualmente trasmissibili e danni psicologici derivanti dall'uso del corpo femminile come strumento per il piacere dell'uomo.

Questioni di linguaggio.

La prostituzione è comunemente indicata come " lavoro sessuale ", il che suggerisce che dovrebbe essere vista come una forma legittima di lavoro. Questa posizione è alla base delle richieste di normalizzazione e la legalizzazione della prostituzione. Come corollario di questa posizione, si definiscono gli uomini che comprano donne e consumano la prostituzione come " clienti ", il che normalizza le loro pratiche come se fosse una qualsiasi altra forma di consumo. Coloro che governano i bordelli sono i “fornitori di servizi”.
Il linguaggio è importante. L’uso della lingua commerciale riguardo alla prostituzione mette in ombra la natura nociva di questa pratica e facilita lo sviluppo commerciale del settore a livello mondiale . È necessario trattenere e sviluppare la lingua che mostra i danni di questa industria. Per questo bisogna dire “ donne prostituite” invece di “lavoratrici del sesso”, perché suggerisce che essi siano in qualche modo danneggiate e si fa riferimento al prostituente. Chiamare gli acquirenti “prostitutori” e ai terzi che ottengono benefici come “magnaccia” o “reclutatori” che espone un motivato disprezzo per la pratica di ottenere ricavi dalla sofferenza delle donne. Riferirsi allo Stati che legalizzano la prostituzione, come “ Stati prosseneti”.

La prostituzione come pratica culturale dannosa


Molte pubblicazioni accademiche delle femministe sulla prostituzione che fanno riferimento al sesso come area di lavoro, si basano sul presupposto che è possibile e anche auspicabile distinguere tra le varie forme all'interno dell'industria del sesso: tra prostituzione adulta e minorile, fra tratta e prostituzione, tra prostituzione libera e forzata, tra settori legali e illegali dell’industria, tra prostituzione occidentale e non occidentale. La produzione delle differenze legittimerebbe alcune forme di prostituzione, per criticarne alcune e non altre. Nel libro si cercano connessioni e interrelazioni al posto di differenze e considera il modo in cui tutti questi aspetti di sfruttamento sessuale sono interdipendenti e interessati a vicenda.
Coloro che, cercano di fare distinzioni, sottoscrivono generalmente l’idea che ci sia una sorta di prostituzione libera e rispettabile che coinvolge gli adulti e può essere vista come lavoro e quindi legalizzata, una forma di prostituzione che fa appello all’individuo razionale e capace di scegliere e si basa sul contratto e uguaglianza. La maggior parte della prostituzione non rientra in questo quadro, tuttavia è una finzione necessaria sottostante, la normalizzazione e legalizzazione del settore. Questo libro utilizza un approccio femminista radicale che considera la prostituzione come una pratica culturale dannosa, che ha origine nella subordinazione delle donne e costituisce una forma di violenza nei loro confronti. Non adotta una posizione normalizzante. Per questo termina con una considerazione dei modi in cui l'industria globalizzata della prostituzione potrebbe arretrare, in modo che l’antica speranza del femminismo a che la prostituzione abbia fine ritorni un obiettivo immaginabile e ragionevole per le politiche pubbliche femministe.
… La prostituzione si fonda sull’idea che le donne hanno il ruolo stereotipato di offrire il loro corpo per il piacere maschile. Nel caso dei prostitutori, questa posizione segue il ruolo stereotipato del patriarca che ha il diritto di utilizzare, per la propria soddisfazione, il corpo delle donne. La tradizione la giustifica con il detto di sempre: "E 'il mestiere più antico del mondo “. Anche la schiavitù è antica, però raramente è convalidata per la sua antichità. La storica Gerda Lerner affronta molto proficuamente i modi in cui la prostituzione nei bordelli di Medio Oriente ebbe origine in seguito alle guerre, cioè, come un modo per utilizzare l’eccedenza delle donne schiave.
Anche se molti valori e credenze del dominio maschile sono stato o sono in fase di cambiamento in molte società, l'idea che la prostituzione sia necessaria come forma di protezione per le donne non prostitute o perché gli uomini non possono controllarsi, sta guadagnando forza, più che perderla. Lo scambio di donne tra gli uomini per l'accesso sessuale e riproduttivo, e per ottenere lavoro libero, è il fondamento della subordinazione delle donne ed è profondamente radicato nelle culture patriarcali.

stop a la cultura del porno


(traduzione di Lia Di Peri)

domenica 26 gennaio 2014

MINERITA. La montagna che divora le donne

Abigail nella  miniera di Cerro Rico.



“La chiamano la montagna che divora gli uomini, ma è piuttosto la montagna che divora le donne”. Raúl de la 
Fuente è il regista di Minerita, breve documentario candidato al Goya (il più importante riconoscimento cinematografico spagnolo), che racconta la violenza contro le donne e le bambine nelle vicinanze della miniera di Cerro Rico (Bolivia), a 4.700 metri di altezza, da uomini che, consapevoli della loro condanna a morte a causa delle estreme condizioni di lavoro (la loro aspettativa di vita è inferiore a 45 anni), le aggrediscono e le stuprano nella più totale impunità. " Di tutti i posti in cui sono stato, questo è il meno adatto per la vita ", dice il regista.
Lucia, 40 anni, Ivone, 16, e Abigail, 17, sono le protagoniste di un angoscioso racconto ai piedi di una miniera che uccide le giovani dentro e strangola le donne fuori. Ognuna che sopravvive scappa come può, abbandonata alla sua disgrazia. Le tre donne vivono all’ingresso della miniera, in una casetta con piccole cose e, in alcuni casi, bevono acqua contaminata che esce dai tunnel.
La più grande, Lucia, si occupa di spaventare gli aggressori facendo esplodere dinamite, scappando dalla strada, anche se afferma di non avere paura. Tutto il contrario di Ivone che, oltre a scappare dai minatori, deve fuggire anche dal padre alcolista. “ Quando lui è a casa, io me ne vado. Picchia anche a mia madre. Lo odio”, confessa nel film. "E ' una ragazza forte, con molto carattere, che vive nella costante paura. Nella registrazione ha pronunciato almeno 20 volte, la parola paura. Lei rimane lì per la madre, che è zoppa da un piede e per le sorelle, ma le piacerebbe andare in Brasile” spiega De la Fuente. Non manca mai nella sua tasca una pietra con la quale difendersi.
La strategia di Abigail è di mimetizzarsi con i minatori. Come le due precedenti protagoniste, si guadagna la vita, sorvegliando il materiale dei lavoratori, però anche lei entra nella miniera di notte per dodici ore (ci sono circa 13.000 bambini minatori in tutta Bolivia, secondo l’ONG CEPROMIN). Prima lo faceva abbastanza frequentemente, adesso soltanto sporadicamente, quando ha bisogno di qualche soldo in più, alle spalle dell’organizzazione con la quale passa il resto del giorno studiando, intercalando la miniera con i libri nelle interminabili giornate che quasi s’incontrano tra di loro. Il suo salario però è cinque volte inferiore a quello di un lavoratore, ma è lo stesso contenta potendo adesso guadagnare. In passato, un debito verso i proprietari delle miniere per il furto di materiali che la famiglia di Abigail custodiva l’ha costretta a lavorare gratis per una stagione.
Raúl de la Fuente e Axel O'Mill, responsabile del suono, si sono uniti a lei, per filmare il momento più struggente del documentario dentro le gallerie fatiscenti, fangose, puzzolenti, completamente buie, illuminate appena da una piccola lampadina appesa al casco della giovane, che carica centinaia di chili di pietre nel suo carrello . “ Entrammo la notte successiva alla morte di due giovani per una fuga di gas. Le gallerie sono piene di liquido e fango e alcune gallerie sono molto strette, per questo fanno entrare i bambini. Le misure di sicurezza sono pari a zero. Siamo stati dentro, due o tre ore, non saprei dire con certezza. In realtà si perde la nozione del tempo. Mi ero concentrato sugli aspetti tecnici della registrazione, astraendomi dal posto, quando lei a un certo punto disse: “ Non toccate, qui, può crollare tutto”. Quella frase fu come uno schiaffo della realtà. Così decidemmo di uscire il più rapidamente possibile. Se fosse crollata, saremmo morti” ricorda il regista di Minerita.
L’idea iniziale era quella di accedere alla miniera anche con i lavoratori, però la diffidenza che generò in loro lo convinse a desistere. “ le donne ci hanno ricevuto con prudenza. Erano grate che raccontassimo la loro storia, ma sapevano anche che stavano correndo un grosso rischio. Registrammo con cura per non metterle ancora più in pericolo, stando attenti a che i minatori non fossero nelle vicinanze. Ma anche così la tensione era palpabile. Avevamo programmato di restare tre settimane ma alla fine abbiamo lasciato un po' prima ", racconta De la Fuente.
Questa storia cinematografica trova ispirazione e prologo da un reportage di quattro anni fa, scritto (con foto e audio) da Dani Burgui e Ander Izagirre sui bambini minatori del Cerro Rico, nel quale appariva già, all’interno della montagna, Abigail, premiato nel 2010, come la migliore informazione dell’anno sui paesi del Sud. Il reportage “ aveva scritto molto sul super-macho minatore che rischia la vita, ma poco si era detto sulla situazione di molte donne: violentate e aggredite e sull’incesto. Sono vittime ma hanno una grande determinazione a uscirne con successo e non si aspettano nulla da parte delle autorità o dall'Europa”, conclude Burgui.
In un futuro non troppo lontano, Raul de la Fuente vorrebbe organizzare a Potosí, la città ai piedi del Cerro Rico, una proiezione privata per Lucia, Ivone e Abigail, le tre eroine Minerita. Magari in compagnia di un Goya.



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