venerdì 30 maggio 2014

Il tuo spirito libertario mi violenta: Lettera al mio Macho progressista preferito.


Vanessa Rivera de la Fuente






Ti ho trovato su Facebook – il tuo avamposto di battaglia - difendendo i diritti delle donne e… Zac, ti sei rivolto a me indignato. Mi hai chiesto, con l’arroganza del saggio, unico depositario della Libertà: “Qual è l’argomento teologico per cui usi l’hijab (velo islamico)?" devi spiegarlo al mio ombelico occidentale, universalista, omnicomprensivo libertario. Perché ti vesti così? "A me non piace.”
Ok, macho progressista: Come va? Che ovaie! A me non interessano le opinioni teologiche, né culturali di altri machi come te, su come devo o non devo vestirmi. Sulla mia vita io non ti devo alcuna spiegazione.
Dimmi perché dovrei farlo? A quanto pare ciò che manca è che io debba giustificare il mio guardaroba. Piuttosto, dalla tua presunta superiorità di genere e culturale, spiegami tu, perché le donne si sottopongono alla chirurgia plastica e s’iniettano il Botox da rimanere così tirate? Perché non si è approfondita la storia delle colonizzazioni e la predazione brutale sull’eco-sistema e i corpi delle donne e tutto ciò che n’è conseguito? Perché non parliamo della responsabilità della tua società “ civile e progressista” nello sfruttamento lavorativo e traffico sessuale di quelle donne che vuoi salvare dal loro abbigliamento? Perché non sei ugualmente indignato per la diminuzione dei diritti riproduttivi delle donne nel mondo sviluppato al quale ti fregi di appartenere?

Il Patriarcato esiste solo in direzione delle donne mussulmane e degli uomini dalla pelle scura e barbuta?Tutta l’oppressione femminile si spiega con un pezzo di stoffa di 70X150 centimetri? Da dove viene quest’aria di superiorità e la convinzione che tu non faccia parte di tutto questo?
Ah già. Ora mi tiri fuori l’argomento che, in alcuni paesi mussulmani, le donne sono punite per non indossare l’hijab. E 'vero. E ti dico di più. Sono punite se guidano, se scrivono sui blogs, se sono dissidenti politiche e se difendono i diritti umani. Io penso che sia terribile costringere le donne a usare un vestiario che non vogliono, che le nostre opinioni siano censurate o sia delegittimato il nostro attivismo, che ci obblighino a fare sesso o ad avere figli che non vogliamo o a ricevere una retribuzione iniqua. Mi spaventa l’idea di finire in prigione per aver praticato un aborto terapeutico in Cile o per ballare sui tetti in Iran.
Quello che la tua superbia non ti permette di vedere, è che in tutti questi casi, non è l’apparenza delle donne, né la loro fede, né la loro razza o cultura, ma l’obbligo che pesa su di noi di dover essere in un modo o nell’altro, di compiacere i maschi dell’uno e dell’altro lato, te compreso. Il problema non siamo noi e le nostre scelte, ma voi e le vostre imposizioni. Il problema è il Patriarcato.
Il tuo spirito libertario mi violenta. Il tuo progressismo è così egemonico e androcentrico quanto l’islam dogmatico. Tu vuoi comandare sulla mia libertà, sul mio corpo tanto quanto l’islamista, tanto quanto il politico pro-vita, tanto quanto il femminicida.
Anche se la tua opposizione al mio modo di vestire, non è paragonabile a quella di ricevere 40 pugnalate per gelosia, è comunque parte dello stesso modo di concepire la donna come soggetto minorato e turbato, debole e passivo, incapace di decidere, senza forza di resistenza, bisognoso di protezione, per antonomasia. Tu vuoi annullare la mia voce tanto quanto il clerico che mi proibisce di parlare nella moschea. Tu sei parte del problema.

Non ti parlo con rispetto. Tu mi manchi di rispetto ogni volta che mi parli come se fossi incapace di capire la realtà e c’è bisogno del tuo catechismo, che impoverisce la mia visione, la mia esperienza e i miei obiettivi riguardo a me stessa e alla realtà che vivo. No. Non ti parlo con rispetto, perché il rispetto si dà tra uguali, non a qualcuno che mi considera inferiore. Gli uguali non mettono in discussione le decisioni degli altri con spirito poliziesco: le analizzano insieme.
Dimmi: Che cosa stai facendo in concreto per riaffermare il nostro diritto a vestirci come vogliamo, senza che pesino gli argomenti maschili di convalida nell’essere a favore o contro? Se non parlare dal tuo ombelico, che ti detta che la tua salvezza bianca, atea, bionda ed europea, è la soluzione ai problemi intersezionali… Che cosa stai facendo di là del negare il nostro diritto all’identità, resistenza e smantellamento delle strutture di oppressione che ci hanno imposto come vivere e perfino come essere liberi? Ciò che noi donne facciamo o non facciamo con i nostri corpi, vita e credenze, finirà di essere un problema politico, e sarà una questione personale, quando tu e i machismi di ogni tipo, siano essi mussulmani, cattolici, atei, marxisti, trotzkisti o anarco-socialisti, si zittiranno e lasceranno risolvere alle donne, poiché soggetti: le uniche legittimamente autorizzate a esprimerci sulle nostre realtà e a decidere si di esse.
Da lungo tempo le donne del “terzo mondo”, mussulmane, nere, latine, migranti o lavoratrici domestiche del tuo quartiere, hanno imparato a far uscire la voce e parlare per noi. Tu e la tua vanità sono parte del sistema che ci opprime. Lo sappiamo. Non ci inganni. Tu sei un figlio sano del Patriarcato, tiranneggi noi donne che non pensiamo, né viviamo come tu, pensi dovremmo, sotto una falsa bandiera di rispetto e libertà, usando la violenza con la tua arroganza, che non libera nessuno, se non il tuo virile orgoglio. Sei un figlio di tuo padre. (Le puttane non hanno nulla a che vedere).
Ti senti offeso se uso la parola “ Fica”? Ti senti insultato dalle immagini della sessualità femminile? Come stiamo a misoginia? Ah, se dico fica, sono maleducata? Vedi, questa è una classica strategia machista di delegittimazione. Attaccare la forma di fronte all’incapacità di riuscire a contro-battere. Chiaro, sono una donna e dire parolacce è poco “femminile”.
Che libertario che sei, macho progressista, accurato quando usi gli estremismi del libertinaggio dei tuoi sessismi e stereotipi.


Vanessa Rivera de la Fuente


(traduz. Lia Di Peri)

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