domenica 9 marzo 2014

Femminista



di 
Bio

I contratti lavorativi che le insegnanti spagnole furono obbligate a firmare nel 1923, comprendevano nelle loro clausole, il divieto di tingersi i capelli e di viaggiare in auto con un altro uomo, che non fosse il padre o il fratello. Erano costrette a stare in casa dalle 20,00 alle 6,00 del mattino salvo che non dovessero accudire a qualche compito scolastico e dovevano indossare almeno due sottovesti. Inutile dire che era proibito loro passeggiare per le gelaterie della città. Le gelaterie sono luoghi di perdizione, in particolare, dei prodotti artigianali, ma di ciò riparleremo in un altro momento.

Questi obblighi e divieti e molti altri più recenti, sembrano ormai anacronismi risibili che sono scomparsi dalla faccia della terra civilizzata, con la stessa naturalezza con la quale cade dall’albero la frutta matura o ci si collega a Windows. Tuttavia, come tutti sappiamo e preferiamo dimenticare, la loro abolizione fu il risultato di secoli di lotta di molte donne: le femministe.
 Io sono femminista. E anche voi signore o signora grassa o magra, che mi state leggendo. Beh, concedo il beneficio del dubbio e, molto probabilmente siete stati o avete voluto partecipare all’ultima riunione della destra (di Josep Anglada) in cui si dice (sempre così originale) che la colpa di tutto (nella sua interezza) è dei mussulmani (Mori nel loro gergo) e dei latino-americani (nel loro gergo, terroni). Allora, in questo caso, è raro che voi possiate essere femminista. Presumo, però, per il buon e raffinato gusto di leggermi, che voi siate, comunque, usando la terminologia di Mariano Rajoy, una "persona normale".

“ Non sono machista, né femminista”. “ Non sono femminista ma femminile”. " Non mi piacciono le idee radicali, non credo che le donne siano migliori degli uomini”. “ Sicuramente, non sono femminista, perché io non odio gli uomini…”. Chi non ha detto o sentito una di queste sfortunate frasi, scagli la prima pietra.

Mentre altre scuole di pensiero, come il socialismo, il liberalismo o anche l'ambientalismo, sono riusciti a mantenere il prestigio della loro denominazione (o del loro marchio), nonostante il suo fallimento o oblio, il femminismo, che in sostanza ha vinto, fissandosi naturalmente nella mente di tutti, ha ottenuto uno scarso riconoscimento. Frainteso e disprezzato come il bozzolo abbandonato, che lascia la farfalla, potremmo dire in termini grossolani. E poteva non essere così importante, se non trascinava per lo stesso sentiero di oblio e disprezzo, le donne e gli uomini che hanno elaborato e lottato per le idee femministe ottenendo quei diritti di cui tutti oggi godiamo.
Recentemente si tende a mascherare il poco apprezzato nome femminismo, con il più accettabile termine “ di genere”, che accompagna come un cognome di buona famiglia, un buon numero di parole come politica, studi, problemi, ricerche, osservatori, ecc.

Che cos’è il femminismo? La filosofa spagnola Amelia Valcárcel, lo definisce come quella tradizione politica della modernità egualitaria e democratica, che sostiene che nessun individuo della specie umana debba essere escluso da qualsiasi bene o da qualunque diritto a causa del suo sesso.


Chi furono le sue precursore? Come si è rilevato in molte occasioni, non è innocente, che nell’immaginario collettivo si continui con la caricatura delle femministe, come signore con i baffi che odiano gli uomini. E non lo è neppure che durante il liceo e la mia carriera in Giurisprudenza, non furono menzionate una sola volta. Mi si parlo sì, del fondamentale Diritto canonico e dell’indispensabile Diritto Giustiniano, però non una parola su Mary Wollstonecraft o Olympe de Gouges, per citarne solo due tra di esse. Non c'è da meravigliarsi che quando si parla su questioni "di genere" a volte non sappiamo da dove veniamo, che vogliamo fare e dove si cerchi di arrivare, persi dopo una strana e pellegrina ‘chiocciolina’ @. Tutti capiscono cosa intendo.

El senor gordo.

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