domenica 8 dicembre 2013

Anche gli uomini hanno un genere

 Masculinidades y ciudadanía. Los hombres también tenemos género (Dykinson, Madrid, 2013).




La lección de esgrima”, Fernando Bayona


Tuttavia, ancora oggi molti e molte, continuano a stupirsi che mi definisca un uomo femminista, un’affermazione che, anche in questi tempi di arretramento democratico, dichiaro con forza ogni volta che posso.  Nonostante sia presupposto fondamentale per l’uguaglianza tra uomini e donne e un requisito imprescindibile in democrazia. Di conseguenza, ogni democratico, uomo o donna dovrebbe essere femminista, perché individuo impegnato a raggiungere l'obiettivo a che il sesso non sia un ostacolo all'accesso a beni e al godimento dei diritti, dalla convinzione che il femminismo non è l'opposto del machismo e che la lotta non è contro gli uomini ma contro l'ordine sociale e culturale che rappresenta il patriarcato.
A differenza delle donne, che hanno sempre messo in discussione il loro posto nella società e il Patto sociale che le ha storicamente discriminate, gli uomini non hanno sentito la necessità di guardarsi allo specchio, tanto meno analizzare criticamente una struttura che ci beneficia. Come ha bene affermato Stuart Mill, siamo stati educati nella " pedagogia del privilegio " e, quindi, ci siamo limitati a esercitare il potere in strutture binarie basate sulla supremazia del maschile sul femminile. E, tutto questo, con il sostegno garantista degli ordinamenti giuridici e dall'identificazione dell’universale con il maschile. Con questa diseguale distribuzione di posizione si configurano gli Stati contemporanei, la teoria dei diritti umani e le stesse democrazie che per decenni hanno escluso le donne dalla piena cittadinanza.
Così come ha ben analizzato il femminismo, il contratto sociale è stato preceduto da un " contratto di sesso" attraverso il quale si è consacrato il privato come luogo di sottomissione delle donne, mentre nello spazio pubblico noi (uomini) esercitiamo pienamente i diritti come cittadini.
Parallelamente si sono consolidati due mondi, il maschile e il femminile, gerarchicamente organizzati, ai quali corrispondono valori, abitudini e atteggiamenti creati da quest’opposizione. In questo contesto, noi uomini, siamo sempre stati socializzati ad agire come somministratori e per monopolizzare la sfera pubblica. Ci hanno educato all’esercizio del potere, al successo professionale, all’individualità competitiva, che ha portato a sua volta allo sviluppo di alcune capacità e alla rinuncia di altre. Ci hanno cioè socializzato in valori e abilità che contribuiva a raggiungere e mantenere il nostro ruolo di eroi, mentre negavamo le capacità considerate femminili. La mascolinità patriarcale, dunque, è stata costruita su una dichiarazione - che riguarda l'esercizio del potere e, quindi, anche il suo utilizzo in caso di violenza e su una negazione – essere uomini è prima di tutto " non essere una donna . “.
Non sorprende che il dizionario della RAE (Real Accademia Spagnola) mantenga come uno dei significati della femminilità: “ la condizione anormale di un uomo nel quale si presentano una o più caratteristiche femminili”. Da qui l’omofobia intesa in senso lato come un rifiuto del femminile e in senso stretto come negazione delle opzioni non eterosessuali, che compongono la definizione di virilità che ha agito su di noi come un “imperativo categorico”.
In definitiva, grazie al patriarcato, anche gli uomini hanno genere, cioè “ facciamo” secondo le regole sociali e culturali, che determina il nostro posto nella società e la nostra identità. Siamo addestrati a svolgere il ruolo previsto per noi e che è legato alle posizioni di privilegio che nei secoli ci hanno fatto diventare soggetti attivi di fronte ad alcune donne sottomesse nel privato e condizionate dal loro ruolo di curatrici. Non solo siamo stati costretti ad assumere come maschere inalienabili l’aggressività, la competitività, l’ossessione per la prestazione o la forza fisica, ma allo stesso tempo, abbiamo rinunciato alle virtù e capacità legate alle emozioni, ai lavori di cura, al mondo femminile che non ha avuto valorizzazione socio-economica e culturale.
Quest’onnipotenza ha anche sviluppato le sue patologie, che ci hanno tenuto in molti casi appigliati a un giogo. Prigionieri nel carcere della mascolinità egemonica che ha preteso che dimostrassimo costantemente la nostra mascolinità e nascondere sotto mille scudi la nostra umana vulnerabilità.
È urgente, quindi, che gli uomini comincino a guardarsi dentro e analizzare criticamente il nostro posto in un patto sociale che ci ha fatto vincitori, ma paradossalmente ci ha anche  condannati a rinunciare a tutto ciò che non si adattava al prototipo di quello che Joaquín Herrera denominò ” predatore patriarcale”. E’ necessario che ci ricollochiamo nel privato, che rivendichiamo ed esercitiamo i nostri diritti-doveri di corresponsabilità in ambito familiare, che assumiamo i valori e le capacità che durante i secoli abbiamo rifiutato perché negavano la nostra mascolinità e, naturalmente, intestarci insieme alle nostre compagne, le lotte ancora pendenti per l’uguaglianza. Un impegno che è particolarmente necessario di fronte alla crisi dello Stato Sociale e la reazione patriarcale che inizia a svilupparsi: due fattori che non soltanto rallentano l’agenda femminista, ma che mettono in pericolo i diritti che crediamo definitivi.
 La conquista della democrazia paritaria implica necessariamente la revisione della mascolinità patriarcale da un processo di trasformazione socio-culturale nel quale noi uomini dobbiamo assumere un ruolo protagonista. Senza di questo i risultati saranno puntuali e fragili, in modo che si continuerà prorogando un mandato che resta impegnato a mettere più ostacoli alle donne nell’esercizio dei loro diritti, che negli ultimi tempi sta sviluppando meccanismi sempre più sottili di dominio.
La revisione (della mascolinità) deve a sua volta influenzare l’armonizzazione tra pubblico e privato, nonché la ridefinizione della razionalità pubblica fatta a immagine e somiglianza degli uomini. In questi tempi di crisi politica ed economica è più opportuno che mai stabilire altri modi di esercitare il potere, di organizzare la convivenza e la gestione dei conflitti. C’è bisogno di trovare come aveva già dichiarato Virginia Woolf nelle sue Tree ghinee, “ nuovi metodi e nuove parole”. Una sfida che richiede il superamento della soggettività patriarcale, la scommessa di mascolinità eterogenee e dissidenti e la configurazione di una cittadinanza capace di superare i binarismi pubblico/privato, ragione/emozione, produzione/riproduzione, cultura/natura, eterosessualità/diversità affettivo - sessuale, che per secoli sono serviti a mantenere sottomesse le donne e in posizioni di privilegio gli uomini.

Sebbene anche, e ciò lo abbia scoperto nel scoprirmi davanti allo specchio – questa maschilità imposta ci ha condannati – senza saperlo – a perderci tutto quello che l’ordine culturale dominante capiva entrasse in contraddizione con la dimostrazione pubblica della nostra virilità.
Da qui, il duplice impegno che come uomo democratico assumo come irrinunciabile, che comincia dal gettare la maschera di genere che mi avvelena  e continua con la militanza femminista, che parte dalla convinzione che la democrazia è paritaria o non è.


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(la traduzione è mia).