martedì 3 luglio 2012

La violenza contro la donna

da Esther Pineda, sociologa  (autora del libro "Roles de género y sexismo" )


 La violenza nelle nostre società, può definirsi una sociopatia che affligge il corpo sociale, con la sua forma astorica e panculturale, vale a dire, che è stata presente nelle varie fasi del processo storico sociale, ma rilevata nella pluralità degli insediamenti sociali, culturali e sub-cukturali della cui esistenza siamo a conoscenza.

La violenza si è talmente naturalizzata al punto da essere considerata da alcuni, come necessaria ed essenziale per il funzionamento del sociale, ponendosi come pilastro fondamentale delle nostre società, a prescindere dalla nostra accettazione o rifiuto; si è  installata nella nostra vita, evolvendosi, massificandosi,conseguenza di una crescente e progressiva sua  istituzionalizzazione strutturale.

Di fatto, la violenza emerge solo nelle condizioni di disuguaglianza, per cui compie una funzione sociale, che si concretizza nel controllo e dominio di ogni alterità, l'"altro",inteso come diverso e, quindi, secondo la logica organizzativa della nostra società, come gerarchicamente inferiore.

Per questo, la violenza si costituisce come mezzo risetto al fine, il quale è l'approfondimento dei rapporti di potere, mediante la svalutazione del soggetto violato e la sua considerazione come inferiore,debole, insicuro, bisognoso di protezione.

La violenza contro la donna è stata invisibilizzata e naturalizzata, fino al punto da renderla incensurabile, ma al contrario,si erge come costitutiva del complesso sociale, nel quale la donna sarà vittima di molte e ripetute forme di violenza, come essere definito diverso, inferiore all'uomo e quindi vulnerabile.

Questa violenza si manifesta in due forme : come violenza diretta,cioè, quella costituita da una aggressione fisica e / o verbale, ma anche attraverso la violenza culturale, che è definita come le giustificazioni che permettono o incoraggiano le diverse forme di violenza diretta o strutturale.
Questa violenza esercitata dagli uomini, perpetrata contro la donna si istituzionalizza nella coscienza collettiva come comportamento autorizzato, accettata e persino promossa, perché la violenza negli uomini è stata definita come imperativo per il complesso patriarcale.

Così, questa legittimità della violenza si concretizzerà nell'esercizio della mascolinità, immagine distorta e normativa, che la incoraggia, la quale si manifesterà generalmente nelle situazioni in cui il soggetto maschile percepisce il comportamento libero, autonomo ed emancipatore della donna, come castrante e impegnativo: una "aggressione alla sua virilità".
Viceversa, le donne verranno socializzate a partire dall'accettazione passiva e confinamento al cerchio della violenza, di questa violenza esercitata dall'altro,sempre maschio, alla quale  si deve rispondere con la sottomissione, subordinazione e rinuncia,caratteristiche definite in precedenza  come "proprie"della femminilità a partire dai criteri biologici.

Come aggravante a questo fatto sociale,ci sarà la manifesta comprensione di questo fenomeno,inteso non come fatto strutturale, violenza collettiva o pubblica,legata alle regole, disposizioni e forme nromative- organizzative della nostra società, ma al contrario,come micro-fenomeni isolati e ripetuti, circoscritti all'ambito privato degli individui,cioè, come violenza privata o individuale,alla quale generalmente le saranno  attribuiti come fattori causali, una condizione intrinseca di cattiveria, ereditarietà genetica,o nei casi minori, conseguenza di marcate deviazioni psicologiche e comportamentali di determinati individui.


.Acercandonos

(traduzione di Lia Di Peri)

                                                                             

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