venerdì 30 marzo 2012

La violenza simbolica del giornalismo italiano

Abbiamo scritto una lettera che verrà spedita a più quotidiani locali e nazionali, alle parlamentari e per conoscenza all'Ordine Nazionale dei  Giornalisti. Vi chiediamo di leggerla, firmarla  farla girare. Grazie


Diverse sono state le reazioni all'articolo di Massimo Fini pubblicato dal Fatto Quotidiano dal titolo “L'ossessione per la donna”.
C'è chi si è dissociato, chi si è sentito offeso, chi l'ha insultato.
D'altra parte non è nuovo Fini a certi discorsi su quello che meno conosce, le donne.
Non ce ne voglia l'ego del giornalista se non ci dilunghiamo sulla sua persona, un concentrato di misoginia e teorie strampalate tendenti al dualismo madre/prostituta con una certa predilezione per quest'ultima categoria.
Il punto centrale del suo articolo non riguarda lo sproloquio al quale, a malincuore, siamo abituate ma la responsabilità di introdurre alla realtà e al suo significato, responsabilità di certo sua ma anche di un certo giornalismo compiacente.
Non ci vogliono intellettuali e fior fiori di studiosi per realizzare che i media si sono affiancati, se non addirittura sovrapposti, alla famiglia e alla scuola nel veicolare educazione e acculturazione diventando il soggetto di quella rivoluzione che ha cambiato radicalmente il modo in cui circolano le idee.
Quali sono, dunque, le idee messe in circolo da Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano e la maggior parte della stampa attuale quando si parla di donne e di quello che le riguarda direttamente o indirettamente?
L'articolo “incriminato” affrontava il tema della violenza mantenendo un registro didattico, analizzandone le cause e anche osando consigliare rimedi arcaici per arginare la stessa.
Sono state usate parole banalmente sessiste, “vispe terese” e “sora Carfagna” per citarne alcune.
Ma il meglio del sessismo è stato espresso nei contenuti portando ad esempio il massacro della Maiella, scomodando Lawrence, utilizzando il termine “virile” di cui è stata data una libera interpretazione e, infine, consigliando saggiamente l'elementare prudenza che si confà alle donzelle sculettanti.
Se all'articolo fosse stata allegata la classica immagine della donna vittima di violenza, ovviamente fisica perchè la psicologica non è neanche contemplata, bella, scosciata e scollacciata avremmo avuto un riassunto fedelissimo del giornalismo italiano.
In un periodo, uno dei tanti e troppi, in cui l'incolumità delle donne è praticamente inesistente ci chiediamo quanto sia umano e civile perpetrare un certo tipo di idee e opinioni.
E', infatti, innegabile l'ingiuria alle parlamentari che ha citato nei suoi articoli (al di là dell'affinità politica e di pensiero) così come è innegabile l'istigazione al femminicidio nel momento in cui lo stupro di tre donne con l'uccisione di due delle stesse viene banalizzato nell'immagine delle donzelle sculettanti e nell'istinto, allo stesso modo è innegabile la violenza (verbale e di pensiero) di cui è intriso tutto l'articolo se la guerra e la forza fisica sono l'unico argine alla virilità maschile ignorando gli stessi militari che, tutt'oggi, si arrogano il diritto di saccheggiare non solo le città ma anche le donne (mai sentito parlare di stupri di guerra? Rientrano nel pacchetto virilità?)
Non volendo ledere la libertà di espressione dietro la quale si nasconde Massimo Fini ( e quasi tutta la stampa italiana) dimenticando volontariamente o involontariamente che la sua libertà finisce dove inizia la nostra ed evitando di essere fascista censurando i suoi pensieri, i quali però censurano i nostri abiti se non vogliamo correre il rischio di essere “inchiappettate”, e prima di scomodare anche noi un uomo, vogliamo ricordare in merito alla tanto richiamata libertà di espressione, che agli inizi del 2009, L'Unesco, in collaborazione con la Federazione Internazionale della Stampa, pubblicarono un Manuale che riprendeva le linee guida emanate alla Conferenza di Pechino del 1995, la quale riconobbe l'importanza di stabilire un equilibrio nei mezzi di comunicazione per contribuire al progresso delle donne e per intraprendere azioni contro la diseguaglianza nell'accesso agli stessi mezzi di informazione.
Il manuale dell'Unesco, diviso in quattro aree tematiche è uno strumento di lotta contro la discriminazione, contro i pregiudizi esistenti all'interno dei mezzi di comunicazione che rappresentano ancora la donna come " la sofisticata gattina sex, la madre modello, la strega ... la inflessibile ambiziosa nell'azienda o in politica" e che limitano l'accesso al potere nella società.
"Il giornalismo deve darsi una immagine giusta, usare un linguaggio neutro non sessista, ed evitare di etichettare le donne con le pagine dedicate allo "stile di vita" o notizie leggere".

        Scriveva Pierre Bourdieu ne “Il dominio maschile”:
        “Lungi dall'affermare che le strutture di dominio sono anistoriche, tenterò invece di stabilire che esse sono il prodotto di un lavoro incessante (quindi storico) di riproduzione cui contribuiscono agenti singoli (fra cui gli uomini, con armi come la violenza fisica e la violenza simbolica) e istituzioni, famiglie, chiesa, scuola, stato”.
        E, aggiungiamo oggi - più di tutti i mezzi di informazione.Nei quali - nonostante i numerosi richiami e raccomandazioni -   la violenza strutturale contro le donne invece di essere rappresenta per quello che è -vale a dire - un problema politico e di cultura patriarcale, viene svuotata di contenuto. Stessa sorte per il Femminicidio naturalizzato"crimine passionale"se, non addirittura normalizzato, a causa dei nostri "sculettamenti" quotidiani.

Prime Firmatarie:Angela Addorisio
Elisabetta Apparente
Anita Silviano


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